ottobre – novembre 2010

Gianni Colombo è l’esempio della naturale evoluzione del nostro gusto che si è formato a partire dallo studio e dalla riscoperta di molti artisti degli Anni Cinquanta. Una storia comune che la Galleria porta avanti, da più di quindici anni, insieme ai Collezionisti e ai cultori che seguono il percorso dall’Informale fino alla tridimensionalità dell’opera, raccogliendo i contributi delle eccellenze significative di ogni momento storico.

Il secondo è in rapporto diretto con il salto concettuale della fruizione del manufatto artistico.

Gianni Colombo rappresenta un passo avanti, ha reso la superficie visiva completamente fruibile, permettendo una visione compartecipata dell’osservatore. Al collezionista è dunque anche permessa l’interazione, un modo “intermutabile”, parafrasando i titoli di talune opere, percettivo e manuale.

Il terzo punto riguarda il perfetto contrappunto con il suo e il nostro tempo.

In armonia totale con i grandi architetti internazionali, da Eames a Wright, in sintonia con lo sviluppo del suo secolo, e in assonanza con la visione del sottoscritto, Gianni Colombo esprime, nell’Arte, ciò che nell’architettura veniva detto altrimenti ma in concerto globale con lo spirito avanguardistico del tempo.

Eppure i suoi lavori sono di un’esasperata contemporaneità.

Scrive Gianni Colombo in occasione della sua mostra personale “Miriorama 4” da Pater, Milano, 9 febbraio 1960: “Penso che solo nella variazione un oggetto mostri il suo aspetto e ponga in evidenza il suo carattere uscendo dall’uniformità dello spazio da cui è circondato, infatti attraverso la componente temporale noi facciamo esperienza della realtà che non è possibile esprimere nella sua pienezza in simboli formali statici. […]

Da tempo ho cominciato a stabilire sul piano del ‘quadro-oggetto’ dei dislivelli, in modo che l’occhio dello spettatore, scorrendo sulla superficie, fosse costretto a salire e scendere da spessori, ad entrare e uscire da cavità indagando gli aspetti che la luce in naturale variazione determinava nel quadro.

Solo nei quadri che ora espongo un autentico variare si attua contemporaneamente a quello dell’occhio (e dell’umore) dell’osservatore. Do oggi ai miei quadri delle possibilità che si attueranno solo nella velocità in un ordine di successione imprevedibile, così il turbarsi dell’uniformità di queste superfici potrà rappresentare un vero e proprio sorprendente dramma”. A ben vedere, sin da questo enunciato programmatico si comprende la svolta definitiva ma, più, il destino che Colombo imprime al proprio lavoro.

Oggettualità fisica dell’opera e fisiologia della percezione, an-esteticità rispetto ai codici d’aspettativa correnti, partecipazione attiva e complice dello spettatore nel darsi dell’opera come trait-d’union dell’esperienza estetica, situazione blandamente aleatoria: soprattutto, coinvolgimento forte e pieno della dimensione temporale in un processo che, sino a quel momento, sullo spazio e sulla durata psicologica, anziché fisica, dell’esperienza fondava il proprio apparato valoriale: questa la scelta di Colombo.

Il clima è noto. È quello che il secondo numero di Azimuth tende a configurare come Nuova concezione artistica.

È la lezione di Fontana e del recupero del cinetismo proclamato dalla mostra “Le mouvement” presso Denise René, 1955; è la contaminazione con la metodologia delle arti applicate nuove così come annuncia, in quel fatidico 1960, la mostra “Opere d’arte animate e moltiplicate” da Danese a Milano; è, ancora, lo sperimentale sul filo della reinvenzione duchampiana da parte di Manzoni, maestro giovane ma maestro, in chiave di blankness, di designazione cruda dei materiali, di rapporto con il codice spinto sino alla sua dissolvenza.

Un’opera atipica come quella Senza titolo del 1960, fondata sull’indifferenza straniata della similpelle, la cadenza minimamente geometrica delle cuciture, l’enfiatura oggettualizzante non immemore dei Gobbi burriani, è emblematica di questi inizi proprio perché atipica rispetto alle altre, contemporanee chiarezze, quelle che generano dal 1959 le opere maggiori, tra le quali spiccano, per nitore concettuale e potenza formale, le Strutturazioni pulsanti.