marzo 2016

Studio Gariboldi presenta una retrospettiva dedicata al maestro della Pop Art romana Tano Festa (1938-1988), uno dei maggiori esponenti della Scuola di Piazza del Popolo. La mostra si concentra sulle opere degli anni Sessanta proponendo tutti i temi principali della sua ricerca artistica: persiane, finestre, obelischi, porte, lapidi, cieli e i soggetti tratti dai capolavori di Michelangelo.

Tano Festa frequenta l’Istituto d’Arte di Roma dove si diploma in fotografia artistica nel 1957. 

Espone in numerose collettive con Uncini, Angeli, Schifano e il fratello Lo Savio e a soli 23 anni tiene la sua prima personale, a cura di Cesare Vivaldi, alla Galleria La Salita di Roma.

La sua prima produzione pittorica si muove all’interno della monocromia geometrica e della rielaborazione degli oggetti. Le sue persiane, porte, finestre, armadi e specchi non sono degli objets trouves, ma oggetti ricostruiti con cura, velati di colore e quindi privati dal loro senso più ovvio. Essi vivono in uno spazio inventato, che non è più quello della vita quotidiana, ma lo spazio poetico dell’arte. Inservibili forme della quotidianità, apparenze, testimoni muti e impassibili di tutto ciò che li circonda, diventano icone figurative, oggetti di “contemplazione” che Tano Festa, paradossalmente, riesce a rendere più reali e presenti che mai. 

Nel 1962 è invitato a esporre alla mostra “The New Realism” alla Sidney Janis Gallery di New York. L’anno successivo, Francesco Lo Savio, suo fratello maggiore, muore suicida in un albergo di Marsiglia – un evento che influenza e cambia l’arte di Festa. Ecco che gli oggetti cominciano ad assumere una valenza metafisica, superano la durata e il limite dell’esistenza umana e sono capaci di restare, malgrado il tempo materiale e i confini dello spazio definito di ogni singola esistenza mortale. 

La loro presenza è certa, fino a farci provare un senso di ambiguità e d’impotenza di fronte al loro essere fisico, inorganico, ottuso, e ancora un senso di mistero e d’impenetrabilità nelle loro fredde e scure geometrie. (Dalla lettera di Tano festa ad Arturo Schwarz, 1966)

Nel 1964 Tano Festa partecipa alla XXXII Biennale di Venezia, dove espone una delle sue Persiane e l’opera La creazione dell’uomo, frutto della sua nuova ricerca basata sugli elementi iconografici del passato, in particolar modo della Cappella Sistina e delle Tombe Medicee di Michelangelo. Trattati con estrema libertà dall’artista, questi elementi rivivono in una dimensione nuova, vagamente surreale. Per Festa sono queste le immagini di cui ci nutriamo, prodotte dalla memoria dell’arte, dalla stratificazione della storia e dalla cultura di un paese, un’iconografia molto distante dal consumismo della Pop Americana.

Festa, un pittore che si definisce “popolare”, rovescia il concetto americano della scuola di New York:

(…) siamo in un paese dove invece di consumare cibi in scatola consumiamo la Gioconda sui cioccolatini. (Dal catalogo della mostra alla Galleria La Salita, 1967)

Durante il suo soggiorno a New York inizia il lavoro sui “Cieli”, ciclo condotto a termine in Italia e presentato a Milano alla Galleria Schwarz nella mostra Il Planetario di Tano Festa nel 1966. Mentre nelle finestre e nelle persiane l’inserimento del cielo era, come diceva lo stesso artista, un atto naturale, nella nuova serie diventa protagonista. Un insieme di riquadri, fotogrammi, che creano dimensioni diverse, come se fossero quadri nello stesso quadro e più contesti sullo stesso piano – composizioni al limite del costruttivismo, che uniscono memorie inconsce al presente vissuto.