febbraio – aprile 2009

Walter Leblanc appartiene alla tradizione costruttivista nella linea spirituale del suprematista russo Kazimir Malevich. Fu molto presto affascinato dalla monocromia. Dopo qualche esperienza di tendenza materica, con sabbia e cemento, si volse verso il gruppo tedesco Zéro.
Aveva aderito intorno al 1958 a Nouvelle Tendance, un’associazione molto flessibile che raggruppava i rappresentanti dell’arte ottica e cinetica dei diversi paesi. Questi gruppi si elevavano contro l’arte informale. e preferivano in generale “l’art propre”, gusto che Leblanc, interessato dalle sue esperienze materiche, non condivideva sempre. Malgrado questo, egli aderì rapidamente allo stile monocromatico fondato sulla vibrazione della luce e sugli effetti cinetici. L’arte cinetica, a differenza dell’arte ottica che produce un’illusione di movimento, si basa sul movimento fisico dell’opera o dello spettatore.
Egli fu il primo, nel 1959, a sviluppare l’idea di torsione nel suo lavoro. La praticò nelle sue Twisted Strings, insieme di fili di cotone ritorti disposti a perpendicolo su una superficie monocromatica. Le ombre si spostano man mano che il sole si alza in cielo e diffonde la sua luce su questi fili. La partecipazione attiva dello spettatore porta ad un risultato identico: quando egli si avvicina , le ombre si animano sul fondo monocromatico. Leblanc concepì le sue costruzioni in funzione di questi giochi di luce e ombra.
Torsions e Twisted Strings lo condussero a raggiungere due tappe importanti. In primo luogo rinunciò alla “pittura” e al pennello. Optò per dei piani plastificati monocromatici oppure per fogli bicolore di polivinile double face – un tono per ogni faccia. In secondo luogo, iniziò a pensare in termini di serie. Ecco cosa scrisse in merito a Twisted Strings : “ Raggruppato in sequenze di serie logiche o sistematiche, il mio lavoro è di formazione seriale (ripetizione di elementi con caratteristiche simili). Accendendo la luce, la sua struttura tridimensionale è in opposizione con la superficie piana del supporto sulla quale è proiettata la sua ombra”. Dal canto suo, Francine-Claire Legrand fece sulle Twisted Strings il seguente commento: “Ora, il bianco è il colore più astratto, quello che tra tutti riflette meglio di qualunque altro le modulazioni della luce. Da questo ne consegue che la matericità dei fili di cotone ritorti e tesi scompare a favore di una vibrazione che agisce bene tanto nella luce naturale che in quella artificiale, mobile o immobile.” Essa sottolinea che in origine Leblanc trattava i suoi fili come un materiale, ma che intervenne ulteriormente su questa presenza troppo fisica dando alla struttura l’aspetto di raggi, propagati da uno spazio centrale e vuoto, di forma ovale. Infine mise i fili in obliquo in diverse direzioni. Nelle Twisted Strings, Leblanc sostituì l’impressione di profondità virtuale, dovuta ad un effetto di prospettiva, con l’elaborazione di una profondità geometrica.
Le Torsions, sculture spesso avvitate in spirali verticali, precedettero i Mobilo-Statics . Questi ultimi sono dei gruppi di torsioni disposti in una successione quasi parete. Come notò l’artista, queste insistevano “… sul movimento virtuale di torsione, creato dalle frequenze di rotazione dovute a questa forma elicoidale”.
I moduli ripetitivi sono delle parti forti, essenziali a queste costruzioni. Leblanc vi integrò luce e movimento, come per le Twisted Strings. Notò che è la luce che conferisce il suo carattere tridimensionale al volume  e che è lo spettatore che, spostandosi, “modifica progressivamente i rapporti pittorici della struttura imposta”.
A partire dal 1975, Leblanc arricchì il suo repertorio formale d’ Archétypes.
Questi ultimi sono rilievi oppure sculture autonome, concepite a partire da tre schemi fondamentali, il triangolo, il quadrato, il cerchio e i loro derivati, il rettangolo e l’ovale. Gli archetipi sono generalmente dei pezzi fusi in metallo. Sono anche in acciaio la cui superficie è ricoperta da una pellicola di ruggine. Danielle Everarts di Valp-Seynaeve osserva che, negli Archétypes, la ripetizione seriale delle forme è l’esito logico della nostra società industriale. A questo proposito ricorda le scatole di zuppa Campbell e le effigi di Marilyn Monroe fatte da Andy Warhol. Leblanc considerava i lavori Mobilo-Statics e Archétypes come delle serie di moduli identici o simili e vedeva ciascuno di questi come una delle fasi di un più ampio contesto. Leblanc creò la decorazione della stazione del metro Simonis di Bruxelles ispirandosi ad alcuni elementi dei suoi archetipi. Installò al di sotto delle due banchine, uno di fronte all’altro, due rilievi in legno e in acciaio di 350 metri quadrati, intitolati Archétypes. Walter Leblanc morì prima della fine dei lavori. Nicole, sua moglie, portò a termine il cantiere.
Leblanc seppe trasformare la pittura in scultura, la prospettiva e la sua illusoria profondità in profondità sensibile.

di Jan Hoet, Gand
Leblanc scrisse un giorno che paragonava “l’estetica plastica” alla “poesia classica che permette la libertà poetica al di fuori delle sue regole ferree”.
Egli ha allo stesso modo legato la (sua) opera plastica alla musica, il cui suono dipende sempre dal ritmo, dalla misura o dal contrappunto ma senza tuttavia escludere la melodia, come alla danza che tiene conto in tutta scioltezza dell’anatomia dei ballerini.
Egli stabilì un quarto legame, questa volta con l’architettura, che pur essendo soggetta a limitazioni imposte dalla funzionalità, non dimentica la forma esteriore, estetica.
La pittura chiamata “informale” di Leblanc è il risultato di una tensione, di una interazione di regole severe e di libertà creatrice. Egli ha mantenuto un sistema in un certo senso molto rigido, che aveva fissato, ma cercando sempre di superarlo in modo creativo. La flessibilità dei limiti di questo quadro è stata continuamente sollecitata, le limitazioni sono state modificate per diventare possibilità.
E’ questo modo di lavorare “provocatorio” che ha fatto sì che Walter Leblanc abbia creato un’opera che disturba e intriga sempre molto, nella quale il ritmo, l’ordine, il gioco con le serie e la luce, la percezione umana svolgano un ruolo centrale.
Ammiro la perseveranza, la motivazione, la logica estrema con la quale Leblanc a dato vita con il passare degli anni a questa opera, che fluttua a metà strada tra l’astratto e il figurativo.
La sensibilità che emana è in effetti praticamente indicibile. La “testardaggine” con la quale Leblanc ha dato forma alle sue aspirazioni e ai suoi desideri è eccezionale. E’ riuscito a trovare un equilibrio tra estremi come la “ragione” e la “sensibilità”, la “riflessione” e “l’intuito”.
Malgrado la sua ricerca di “purezza”, Leblanc non fu mai un purista. Il modo con cui ha saputo conciliare la severità delle strutture formali e l’entusiasmo dell’espressione libera tipico della poesia può quindi essere detto unico.
In modo indiretto, questo artista ha dimostrato che la logica e la sistematicità non devono per forza essere cliniche e sterili. E’ riuscito a creare un genere di arte interattiva ante litteram, in cui l’apporto dello spettatore, che contribuisce consciamente o no a ricreare l’opera, è determinante.
Un artista che merita di essere collocato nel pantheon dell’arte internazionale.