gennaio – febbraio 2016

Spazio, luce. Silenzio

di Serge Lemoine

Riassumiamo: il pittore Antonio Calderara ha consacrato la sua vita a rappresentare lo spazio, a tradurre la luce, ad esprimere il silenzio. In totale discrezione. Calderara ha realizzato le proprie opere senza mai lasciare la sua terra, quella nel nord d’Italia, dei rilievi alpini, dei grandi laghi. Una vita trascorsa in disparte, a Vacciago, in compagnia della moglie Carmela e della famiglia, sulle sponde del lago d’Orta, cui deve tutto. Instancabilmente, ha rappresentato la luce dei suoi paesaggi nel trascorrere delle stagioni. Le sue creazioni, profonde, segrete, intimiste, affidate al piccolo formato, sono rimaste per pochi. Calderara non ha mai conosciuto la celebrità. Era apprezzato da una piccola schiera di amatori, soprattutto artisti, e a scoprirlo fuorono proprio i pittori: primo fra tutti, Almir Mavignier. Poi Max Bill, Jesús-Raphael Soto, François Morellet, Reimer Jochims, che ne ammirarono le opere così come l’uomo che ebbero modo di conoscere, e ai quali Calderara seppe dimostrare la sua amicizia. Fu appoggiato da qualche critico e storico dell’arte, come Friedrich Heckmanns, Carlo Belloli, Jean Leering, Bernhard Holeczek. Anche in patria ha esposto il suo lavoro, ma più spesso in Germania, nei Paesi Bassi, nelle gallerie e nei musei (una volta al Documenta di Kassel, nel 1968, con ben dodici opere). Pochi, però, sono i lavori rimasti a testimoniare di questa arte singolare, esigente, realizzata in isolamento, perfettamente compiuta.

Senz’ombra di dubbio Calderara è stato un grande artista. Varrà la pena riprendere alcuni dei momenti particolarmente significativi della sua produzione e della sua carriera.

Singolarità

Oggi Antonio Calderara è conosciuto per i quadri che appartengono alla corrente dell’Astrattismo Geometrico. Ne presentano infatti tutte le caratteristiche: forme semplici che si incrociano ad angolo retto, spazio privo di profondità, colori stesi à plat. Un vocabolario limitato di linee e quadrati, una gamma ristretta di colori, una composizione rigorosa basata sulle misure: è di un’arte concreta che si tratta. Le strutture che creano questi spazi ben ordinati, i colori che traducono questa luce chiara e avvolgente appartengono solo a Calderara, lo caratterizzano. Questi quadri così particolari, però, cominciò a dipingerli solo nell’ultima parte della sua vita, all’età di 56 anni. Fino ad allora era stato un pittore figurativo, che aveva progressivamente abbandonato la figura a favore del paesaggio, al contempo semplificando costantemente e progressivamente la propria visione. Nulla, tuttavia, che consenta di intuire la vera natura dei suoi esordi.

Antonio Calderara nacque nel 1903. Dopo i primi lavori, realisti e impressionisti, si ritrovò influenzato dai paesaggi e dalle “vite silenti” di Giorgio Morandi, così come dalle opere di alcuni esponenti di quel Realismo magico nelle forme e nei modi in cui si era manifestato in Italia tra gli anni Venti e Trenta in seguito alla pittura metafisica di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà. È sempre più chiara la singolarità di un percorso simile: quello di un pittore italiano di provincia, che ritrae la sua famiglia, la sua terra, fedele ai propri valori e per molto tempo isolato, che grazie alle riflessioni e alla perseveranza, senza mai rinnegare la propria sensibilità, è divenuto un grande pittore astratto riconosciuto dapprima all’interno della propria comunità, quindi dovunque nel mondo.

Evoluzione

Gli esordi di Calderara sono sorprendenti e allo stesso tempo ne anticipano gli sviluppi: paesaggi, vedute urbane, figure sole o in gruppo, alcune rare nature morte che ne testimoniano l’appartenenza al Realismo magico, diffusosi in Italia contemporaneamente alla Neue Sachlichkeit in Germania. Il quadro del 1928, Ponte della via Chiusa a Milano, che potrebbe essere tedesco, il Ritratto di mia moglie del 1934 e la figura in piedi intitolata Bianco-Rosso dello stesso anno sono caratteristici di questa tendenza e possono in particolare essere avvicinati all’arte di Felice Casorati per la composizione, le forme stilizzate e il gusto per un disegno dai tratti essenziali.

La Finestra e il libro del 1935 esprime già l’universo di Calderara attraverso la costruzione dello spazio, la stilizzazione dei contorni, il restringimento della gamma cromatica, i contrasti di luce e gli stessi soggetti: un momento di intimità all’interno di una stanza è tutt’uno con la pace del paesaggio all’esterno per il tramite di una finestra aperta. Sul davanzale è un cactus e le curve della sua sagoma che si susseguono l’una dopo l’altra.

Il ritratto La famiglia. Dopo il temporale del 1934 presenta le stesse caratteristiche. Nel dipingere sia il primo piano che lo sfondo, l’artista ha insistito soprattutto sulla descrizione della luce, della quiete e del silenzio che ben traducono l’atmosfera della sua terra, il lago d’Orta. Lungo gli anni Quaranta e ancora all’inizio degli anni Cinquanta prosegue la logica del suo sviluppo: il suo universo si restringe, i soggetti svaniscono progressivamente, le forme si semplificano, quasi dissolvendosi, la monocromia si impone, la luce prende il sopravvento su tutto l’insieme. È evidente nelle figure (Nudo, 1944), nelle nature morte (Fiori bianchi, 1952), nei paesaggi (Inverno, 1951-52).

Tutto è infine pronto per l’ultima tappa del suo percorso, che si realizza in uno scorcio relativamente breve, rispetto ai tempi lunghi delle fasi precedenti, e occupa gli anni 1957, 1958 e 1959. L’artista abbandona la figura e ogni altro soggetto per concentrarsi sulla rappresentazione del paesaggio. Privilegia certi luoghi del lago d’Orta e del villaggio di Vacciago, dove si trova anche la sua casa. Semplifica le architetture e gli elementi del paesaggio, riducendoli a poche linee orizzontali e verticali che dispone nello spazio. Il processo di elaborazione delle sue composizioni si rivela allora del tutto identico a quello di Piet Mondrian, la cui produzione Calderara scoprì nel 1954 esercitando su di lui grande influenza, al pari di quei Theo van Doesburg e Bart van der Leck che andavano elaborando un nuovo linguaggio in Olanda tra il 1914 e il 1919.

Le tappe successive percorse da van der Leck per arrivare, nel 1917, a realizzare Composizione 1917 n. 4 (Uscita dalla fabbrica) (Otterlo, Kröller-Müller Museum) sono le stesse che percorrerà a sua volta Calderara ne La storia del lago d’Orta. 18 variazioni su un tema, che dipingerà esemplarmente nel 1976 facendo ricorso all’acquerello. A quelle forme elementari aggiunge il proprio registro cromatico, con i colori a tradurre la luce liquida della sua terra e gli effetti delle brume che dissolvono le forme: una gamma di azzurri chiarissimi, uno o due gialli che tendono al verde (Pittura, 1957), grigi molto pallidi che cedono al rosa o al viola (Colori chiari, 1959), stesi in campiture uniformi. Si intuiscono, ormai, più che distinguersi, una sentiero lungo il lago, un pontile, un muro, l’acqua e la sponda opposta con la sagoma d’una chiesa o il profilo di una montagna: ma non si tratta che dei piani di una composizione verticale, privi di profondità. Il quadro del 1959, Paesaggio (Francoforte sul Meno, collezione privata), spinge molto in là la semplificazione. È costituito da quattro rettangoli distribuiti all’interno di un formato rettangolare orizzontale: tre fasce parallele orizzontali con, sulla destra, una fascia verticale. Risulta chiaro allora che si tratta di un argine, dell’acqua, del cielo e del lembo di un muro. Eppure, in questa trasposizione, il soggetto è scomparso. Ciò che è rimasto è in rapporto all’essenziale: la struttura e la gamma dei colori attenuati, che tendono a confondersi in favore della resa luministica.

Nel 1959, il passaggio è compiuto. Calderara dipinge il primo quadro astratto che trae ispirazione dalla realtà e dalla sua osservazione, pur senza più rappresentarla. L’astrazione geometrica gli offre uno “spazio mentale”. Le opere prendono allora titoli quali Spazio luce, progressione verticale (1959-1960), Contrappunto di ritmi verticali – Omaggio ad Erik Satie (1960, Monaco di Baviera, collezione privata per le due opere), Tensione verticale (1966) o ancora Costellazione (1968, collezione privata per entrambe le opere). La loro ragion d’essere risiede ora esclusivamente nella composizione, nel rapporto tra orizzontali e verticali, nella simmetria o asimmetria, nella progressione o ripetizione, nel contrasto tra le forme, nella monocromia, nei toni indicibilmente accostati a rendere quella luce di cui sono irrorate le vedute del lago d’Orta. Fino alla morte, avvenuta nel 1978, Calderara si dedicherà a questa modalità espressiva (1), cui è approdato in età avanzata e che rappresenta la sua conquista.

Pratica artistica

Per esprimere una sensibilità tanto particolare, Antonio Calderara si è dotato di mezzi specifici, il che consente di riconoscere le sue opere immediatamente: il formato, la tecnica, il supporto, la fattura, naturalmente il colore, la presentazione stessa dell’opera. I suoi formati, salvo rare eccezioni, sono di piccola taglia: quadrati, possono misurare 27 x 27 cm, sono spesso rettangoli orizzontali, ad esempio di 25,6 x 36 cm: è questo il formato, d’altronde, che si addice ai paesaggi e alle vedute. Si trovano anche alcune opere verticali, molto strette, 27 cm di altezza per 3 cm di larghezza. Talvolta sono presentate in polittici, come accade per Orizzonte (1968-1970), che consta di sette pannelli, ciascuno di 54 x 18 cm.

Calderara dipinge ad olio su tela, più generalmente su pannelli di legno levigati e preparati, ma fa uso anche dell’acquerello su carta, che ben si presta a tradurre la delicatezza delle trasparenze. I dipinti ad olio si caratterizzano per una stesura omogenea, che non lascia quasi distinguere la pennellata, capace di fare della superficie pittorica una patina lucente; i colori dell’acquerello, invece, sono stemperati e stesi i modo uniforme. I colori sono applicati in campiture uniformi, senza modulazione, nella pittura a olio come nell’acquerello. La presentazione dell’opera prevede sempre il montaggio su di un supporto più grande, all’interno di una cassetta bianca protetta da vetro (2), espediente che permette all’artista di sottolineare la preziosità e la rarità di ogni sua opera (3).

Calderara ha fatto ricorso a un numero molto limitato di forme: quadrati, rettangoli, segmenti più o meno corti, spessi e compatti, linee più o meno larghe. Elementi che vengono sempre giustapposti, che non si sovrappongono mai, disposti all’interno di una griglia ortogonale rigidamente collocata nel piano: esprimono la struttura ed il ritmo.

Il colore serve anche a campire le superfici: sempre attenuato, gioca su sfumature molto simili, non lontano dagli effetti della pittura monocroma con dominanti di bianco, blu, giallo, rosso o grigio pallido. Questa struttura, ridotta all’essenziale, questa quasi assenza di colore, questi toni così simili, questa generale assimilazione, la riduzione del formato, richiedono una grande attenzione perché se ne possano percepire le componenti essenziali. L’insieme è completamente subordinato alla traduzione della luce, quella luce così particolare, densa, avvolgente, iridescente, che è stata la sua fonte d’ispirazione e che il pittore non ha mai smesso di voler rappresentare, nel susseguirsi dei giorni e delle stagioni.

Ouverture

È difficile immaginare un gruppo più limitato di soggetti o un’opera di una discrezione simile. Lungi dal clamore di un Fontana, dalla forza di un Burri, dal lirismo di un Dorazio e dall’effervescenza di un Vedova, tanto per restare tra i nomi di una certa fama nella Penisola. Calderara non è presente nell’Italia del dopoguerra, quando tutto è stato rimesso in discussione. Gli eventi che hanno scompaginato il suo paese, l’Europa, il mondo intero, non trovano eco nella sua arte. Il suo mondo è altrove, il suo tempo è un altro, e affiora lentamente. Calderara si rivela solo dopo il 1960, quando ha già 57 anni. Dopo la mostra organizzata da Almir Mavignier in Germania (4), che si svolse tuttavia con una certa riservatezza, si scoprono, poco alla volta, i suoi quadri astratti. Da quel momento in poi Calderara comincia a farsi strada sulla scena internazionale. Le sue opere sono astratte, geometriche, accurate, purificate, quasi monocrome, eseguite con un tocco essenziale. Calderara aderisce alla corrente dell’arte concreta che si manifesta di nuovo con vigore: compare tra gli autori della mostra di Max Bill, Konkrete Kunst, presentata nel 1960 presso l’Helmhaus di Zurigo; nel 1972 è a Bochum alla galerie m in compagnia di Enrico Castellani, Ad Dekkers, Jan Schoonhven, herman de vries, Gerhard von Graevenitz, Günther Uecker, François Morellet in un’esposizione intitolata Neue Concrete Kunst. Il suo lavoro non è molto diverso da quello di altri artisti della Nouvelle Tendance che proprio Almir Mavignier aveva saputo riunire per la prima volta nel 1961 a Zagabria (5). Ancora, compare nella mostra Weiss auf Weiss organizzata da Harald Szeemann nel 1966 presso la Kunsthalle di Berna. Max Bill, Richard Paul Lohse lo considerano uno di loro. Le sue composizioni sono assimilabili a quelle di Josef Albers, con cui condivide l’attenzione per le proporzioni e la volontà di tradurre la luce attraverso il colore. La gamma cromatica, il gusto per le linee e i segmenti, ma anche una raffinatezza simile si ritrovano nei quadri di Friedrich Vordemberge-Gildewart. L’impiego delle griglie, le composizioni costruite su quadri concentrici, il colore e i contrasti che si dissolvono nello splendore del bianco appartengono anche all’opera di Aurélie Nemours. I quadri dalle infinite sfumature di bianco e di grigio chiaro che dipinge François Morellet in particolare nei primi anni Cinquanta, le composizioni dominate dal giallo nelle sue sottili variazioni, le sperimentazioni con il rosso, rendono evidente il legame tra i due artisti e l’amicizia che ne scaturirà (6). In breve tempo, nel corso degli anni Sessanta, Calderara, che fino ad allora era rimasto isolato, ha trovato una famiglia e all’interno di questa la sua opera acquisisce il ruolo che ha a tutt’oggi.

Questa famiglia, questa comunità di spiriti e di sensibilità, non è solo europea. Trova una corrispondenza in America nell’opera di Agnes Martin, alla quale è stato riservato un riconoscimento altrettanto tardivo. I motivi ripetitivi, l’accento posto sull’orizzontalità, la rappresentazione di sfumature impercettibili sono comuni ai due artisti, al punto che alcune opere possono essere sovrapposte o comunque poste in corrispondenza, nonostante il diverso formato. Grande in un caso, piccolo nell’altro, si tratta pur sempre dello stesso tema, la stessa ispirazione, lo stesso percorso, con un esito affine. Per quanto possa sorprendere, una simile equivalenza la si può ritrovare tra l’arte di Antonio Calderara e quella di un altro grande pittore americano, Kenneth Noland. I suo quadri orizzontali, molto allungati, stretti, 15 cm circa di altezza per una lunghezza di quasi 243, ad esempio, realizzati negli anni Sessanta, le sue composizioni fatte di strisce parallele, acqua che scorre, distese di terra, cielo e orizzonte. Astratto, Noland dipinge paesaggi alla maniera del Calderara astratto, così come dimostrano l’Enisle dell’americano, realizzato nel 1969 (collezione David Mirvish, Toronto) e lo Spazio Colore Luce, rosa-blu dell’italiano, dipinto nel 1975.

Tutto d’un tratto, quante corrispondenze, quanti cambiamenti, quali prospettive! Calderara ha trovato il suo posto, eppure la sua voce è rimasta unica. Perché ha espresso un’atmosfera mutevole, una luce che uniforma tutto, ha rappresentato un ordine immutabile e pacato, su cui regna il silenzio. Se dovessimo stabilire un’ultima corrispondenza, sarebbe con la pittura di Vilhelm Hammershøi. Per la sua origine, fin dagli esordi e per l’intero suo percorso artistico, l’arte di Antonio Calderara ha saputo, pur procedendo verso l’astrazione, restare universale e continuare a tradurre il mondo.

Note

(1) Sul finire dei suoi giorni, Antonio Calderara, affaticato dalla malattia, intraprese parallelamente un percorso leggermente diverso da quello che aveva seguito dopo il 1960, sperimentando nuovi motivi individuati nelle lettere dell’alfabeto. Compose delle iscrizioni utilizzando linee orizzontali, verticali e talvolta diagonali; non sono leggibili ma rappresentano un nuovo linguaggio fatto di segni disposti come in un paniere al centro del tavolo. Queste opere appartengono alla serie delle Lettere di un convalescente.

(2) Antonio Calderara amava scambiare opere con gli artisti di cui apprezzava il lavoro, e ciò gli ha consentito la costruzione di una collezione di grande qualità, interamente dedicata all’astrazione, molto originale. Tutte le opere sono state scelte in funzione del formato, identico a quello dei suoi quadri, e incorniciato nello stesso modo, Le opere sono visibili in esposizione permanente a Vacciago, presso la Fondazione Calderara.

(3) Ciò vale anche per autori quali Paul Klee e Kurt Schwitters, per i quali il montaggio e la presentazione dell’opera con le iscrizioni, titolo, numerazione, firma, sono parte integrante dell’opera stessa.

(4) Come riferito dallo stesso, Almir Mavignier si recò a Milano nel 1959 per l’esposizione del gruppo Stringenz nuove tendenze tedesche, presentata alla galleria Pagani del Grattacielo, a cui partecipava anche Calderara. Fu in questa occasione che scoprì il suo lavoro e poco dopo andò a trovarlo, prima nell’atelier di Milano e poi a Vacciago. Dichiara di essere rimasto molto impressionato «sia dalle opere naturaliste che da quelle astratte» che ha modo di vedere. Rientrato in Germania, Almir Mavignier propone a Kurt Fried di organizzare una mostra di Calderara nella sua galleria, lo Studio f di Ulm, città che ospita la Hochschule für Gestaltung. Per convincerlo, Mavignier gli porta due opere di Calderara. La mostra inaugura nel 1960. Oggi, le due opere sono conservate al Kunstmuseum di Ulm, dopo che Kurt Fried ha donato la propria collezione.

(5) Su questo punto, v. Serge Lemoine, “Almir Mavignier Nove Tendencije” in The Artist as Curator Collaboratives Initiatives in the International Zero Movement 1957 – 1967, a cura di Tiziana Caianiello, Mattijs Visser, Zero Foundation, volume 5, Düsseldorf – Gand, 2015, pp. 292-301.

(6) François Morellet, che espose frequentemente in Italia, conobbe Antonio Calderara nel 1970. Lo andò a trovare a Vacciago. Le sue due opere Bleu, Jaune, Rouge del 1952 e 3 Superposition del 1975, incorniciate come quelle di Calderara e oggetto di uno scambio tra artisti, sono oggi conservate presso la Fondazione Antonio e Carmela Calderara.