ENRICO DONATI
New York Parigi Milano
La personale dedicata a ENRICO DONATI attraversa le fasi più importanti del percorso creativo dell’artista tra New York, Parigi e Milano, ponendo l’attenzione sul suo stile unico e originale sviluppato durante l’espansione del Surrealismo.
Enrico Donati (1909 – 2008) è un pittore italo americano surrealista. Nel ’44 esordisce con la sua prima personale americana presso la galleria di Georgette Passedoit. Durante il periodo newyorkese conquista l’attenzione del poeta e scrittore André Breton, che gli propone di fare un’altra mostra in USA, alla Place Gallery di Washington. La mostra fu un successo e l’inizio di una catena di altre esposizioni importanti e di una serie di opere realizzate con il suo nuovo grande amico Marcel Duchamp (foto 3). Breton non ha dubbi, Donati è un surrealista, e nel 1945 lo consacra dedicandogli un intero capitolo all’interno del libro Le Surréalisme et la peinture.
Resterà un surrealista anche quando incontrerà Lucio Fontana che lo coinvolgerà nelle iniziative del gruppo spazialista.
PRIMA SALA
All’interno della prima sala della galleria sono esposte le opere degli anni ’50. Nelle tele di questo periodo la casualità diviene elemento cardine dell’approccio creativo dell’artista, entro la quale l’immagine prende forma.
A sinistra Our Nina– Ningir sou God, 1959, fa parte del primo gruppo di opere realizzate a metà degli anni Cinquanta, costituite da superfici semi-geometriche in neri densi, grigi e bianchi. Le tele ricreano aridi campi di lava o superfici lunari. Our Nina – Ningir sou God conserva intatta una qualità surrealista di vaste terre da sogno inesplorate.
A destra nella foto la tela Barometro, 1951-52, fa parte della serie di opere iniziate a partire dal 1949 in cui l’artista si dedica maggiormente al lavoro gestuale. Il nuovo processo del lavoro sperimentale di Donati avverrà attraverso l’utilizzo di materiali speciali, come il catrame liquefatto e la trementina, i quali, una volta freddi, solidificano diventando duri come smalto.
SECONDA SALA
Le prime tre tele della sala due sono state realizzate nella seconda metà degli anni ’40.
Enrico Donati in questa fase creativa avverte l’esigenza di disciplinare la realizzazione artistica con l’aiuto di una sintassi improntata sulla geometria. La creazione non è più totalmente in balia dell’immaginazione surreale.
A sinistra Le tour de L’Alchimiste (vue d’en bas) fa parte del ciclo di opere iniziato nel 1947 dove Donati presenterà su tela forme quadrate e triangolari.
L’artista crea una struttura più elaborata, una composizione dove gli accenti di colore allestiscono visioni spaziali inconsuete.
Nell’opera Retina di casa animata, nella foto a destra, Donati elabora una figurazione geometrica in cui nulla è lasciato al caso. I colori, non più liberi di evadere i confini delle forme e di mescolarsi tra loro, sono costretti in campi ben definiti.
Scenografia a Pompei del 1950, a dx nella foto, presenta in parte una sensibilità cubo-futurista. Donati stanco dell’eccessivo romanticismo e della vivacità coloristica delle sue opere, comincia a imporre una certa rigidità geometrica alla sua espressività artistica. Non più figure fluttuanti e sfumature colorate, ma forme quadrate e triangolari che separano nettamente i colori. La prospettiva perde l’egemonia sullo spazio e si riduce di profondità e lascia emergere in superficie gli elementi della composizione.
Nella tela Pendolo, del 1948-1949, a sx nella foto, si possono intravedere forme di oggetti che si accostano su vari livelli, creando una profondità capace di introdurre lo spettatore nella terza dimensione. Il quadro è dominato da un complesso assembramento geometrico. La tonalità spenta e uniforme di quest’ambiente accentua il variopinto incastro delle forme che spiccano per i gialli, i rossi e i blu.
TERZA SALA
Nella terza sala sono presenti quattro tele eseguite negli anni ’60.
L’opera Sunstone del 1960, fa parte della serie denominata da Marcel Duchamp “Moonscapes” proprio perché questi lavori, con le loro superfici ruvide, ci presentano immagini di terre aride e fredde che ricordano da vicino paesaggi lunari. La gamma di colori predilige i neri, i grigi, gli azzurri e i bianchi.
Red Reef datata 1965, fa parte invece del gruppo di opere prodotte dalla seconda metà degli anni Cinquanta, all’interno della serie “Sargon” (dedicata al re mesopotamico degli anni 2000 a.c.). L’artista, ancora legato alle superfici ruvide e spesse dei primi anni Cinquanta, estende questa consistenza materica a superfici più ampie e, soprattutto, abbandona la monocromia per dar spazio al colore, legato a una gamma di toni terrosi.
Nei primi anni ’60 il tema del “fossile” conquista la sua attenzione, diventando sintesi iconografica nel “Ciclo dei fossili”.
Nel 1949 l’artista aveva trovato sulla spiaggia di Dover delle Barbados una pietra liscia che gli aveva provocato una strana vibrazione, in considerazione della quale aveva avuto il sospetto che al suo interno si nascondesse un fossile. Donati decide di aprire la pietra proprio nel 1960 e con grande sorpresa all’interno trova proprio un fossile che assomigliava alle immagini che stava dipingendo già da qualche anno.
Il fossile porta in sé l’intero ciclo di creazione, distruzione e rinascita. La natura distrugge la vecchia vita, reincarnandone una nuova, offrendo così un’esistenza perpetua.
(Enrico Donati, Peter Selz, The pocket museum, Parigi 1965)
In Hopi Wall il blu azzurrite e il verde cobalto si aggiungono al color terra cotta e ai molteplici grigi. I colori e la texture si rinforzano così l’uno con l’altro. Le forme divengono più larghe e spesse, piu definite. Questi segni sulla tela si collocano nello spazio pittorico con la sicurezza sensibile ed elegante di un occhio e di una mano infallibili.
Il quadro Fossil series ‘3000 BC’, è la rappresentazione iconica di un fossile che si staglia contro un fondo monocromo rosso vermiglio.
Enrico Donati per sua stessa ammissione ha sempre fatto ciò che gli andava di fare, provocazioni surrealiste, paesaggi lunari, costruttivismo, espressionismo astratto, totem e persino profumi. Si è sempre divertito e reinventato “ho vissuto cose straordinarie e credo di esprimere nel mio lavoro la gioia e il divertimento” così ha detto in un’intervista a Irene Bignardi nel 2007.
“Personalmente credo più nell’essere un individualista che un seguace.
Anche quando ho partecipato alla scuola astratta di New York e a quella surrealista volevo avere il mio stile, la mia idea. Cercavo di essere me stesso. Non so se ci sono riuscito, ma almeno ci ho provato”.